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I risultati di uno studio prodotto dal Censis a giugno: di troppi dati si può morire

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L’idolatria dei numeri che spiegano la realtà ha impoverito l’informazione: invece di raccontare storie che raccontano come vive il Paese, invece di inseguire i fatti e le notizie che parlano di cosa siamo diventati, si usa il dato statistico che tanto è sacro e inviolabile. Con il risultato di uniformare l’informazione e renderla sterile. Perché il dato, invece che spingere a cambiare, è l’emblema della cristallizzazione della realtà. È una fotografia bloccata, soprattutto quando è negativo, senza possibilità di cambiare. Un macigno difficile da spostare. È un po’ come lo sguardo di tanti nostri giovani, cinicamente affetto da una malattia autoimmune che uccide la speranza e che si chiama rassegnazione.

 

Allora pieghiamoli questi numeri, domiamoli, scaviamoli, mettiamoli in dialogo. E superiamoli anche, rigettando i pericoli da tirannia del dato statistico che anche nel terzo settore minaccia le menti dei dirigenti e il lavoro degli uffici di comunicazione. I numeri sono belli ed importanti, servono a raccontare i grandi processi sociali e sono anche uno sforzo di trasparenza. Ma sono strumenti per arrivare da qualche parte, non bei quadri da guardare comodamente seduti. Usiamoli meglio e condiamoli di umanità.  




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